I DAZI DOGANALI USA spiegati da Mr. Inox

dazi-doaganli-acciaio-inoxSection 232 in breve, per prepararsi alle novità di maggio
Il 2018 si è aperto con l’ombra dei dazi doganali sull’acciaio e sull’alluminio voluti dal presidente americano Donald Trump: una missione che ha interessato anche il nostro agente dell’inossidabile.
Domani scadrà il tempo utile per i negoziati, ecco quindi la questione Section 232 secondo Mr. Inox.
Seguendo le segnalazioni di importanti aziende siderurgiche americane, alle porte dell’estate del 2017 Trump avvia il Steel Probe: un’indagine di mercato finalizzata a misurare il danno causato dalle importazioni in regime di dumping (ovvero quando i prodotti vengono venduti a prezzi molto bassi o, addirittura, sotto costo, allo scopo di impadronirsi dei mercati esteri, a danno dei produttori locali).
Lo scopo dichiarato dal primo uomo degli States era quello di eliminare ogni possibile minaccia alla sicurezza nazionale. In una visione a lungo termine, infatti, la concorrenza sleale causerebbe, secondo Trump e la lobby dell’acciaio, il collasso dell’industria siderurgica americana (chiusura delle aziende), incidendo non solo sui posti di lavoro, ma anche sulla capacità degli USA di produrre autonomamente per i settori dell’energia, delle infrastrutture e quello militare, da cui dipende la sicurezza nazionale.
Quelle che avrebbero potuto essere minacce frutto della fastidiosa calura estiva – perdonabili allora senza rancore – si sono poi tramutate in un vero e proprio provvedimento varato l’8 marzo ed entrato in vigore 15 giorni dopo.
Il provvedimento colpiva indiscriminatamente tutti i paesi esportatori con dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. Unici esentati con la condizionale (ovvero rivedere gli accordi commerciali del Nafta) il Canada e il Messico, rispettivamente il primo e il quarto tra i fornitori di acciaio per l’America.
Con un solo colpo, Trump centra il triplete dei suoi slogan: Buy American, American First e Make America Great Again. Cerca, insomma, di non deludere le aspettative dei suoi elettori e prova a guadagnarne altri.
Gli americani si dividono: chi sostiene il presidente, chi invece fa notare che anche Bush Jr. aveva commesso lo stesso errore nel 2002 ed era ritornato sui suoi passi in fretta, qualcun altro, tra cui la stessa FED, la banca centrale americana, teme la guerra commerciale, cioè una serie di provvedimenti di risposta deleteri per il mercato, da parte dei paesi colpiti dai dazi di Trump. Un botta e risposta fatto di innalzamenti dei prezzi che, secondo l’analisi dei dati e la storia, non gioverebbe a nessuno.
Osservando meglio, sembra che, in effetti, i nuovi dazi americani non siano la vera ragione dell’agitazione delle altre potenze, tra cui anche l’Unione Europea.
Sommando le quote di export di Olanda, Italia, Francia, Spagna, Svezia, Belgio, Austria e Regno Unito, infatti, si raggiungerebbe comunque il 5° posto tra gli esportatori di acciaio vero l’America (circa il 10% dell’import USA). L’unico paese a poter sentire effetti diretti sarebbe la Germania (da sola all’8° posto), che però si è detta pronta all’avvento dei dazi.
Insomma, non solo per la FED, ma anche per l’Europa, ciò che preoccupa è l’influenza che quelli potrebbero avere sul contesto economico generale.
Il sole che ha brillato sulla crescita del mercato dell’acciaio per tutto il 2017 sembra, infatti, non avere intenzione di oscurarsi nemmeno nel 2018, ma ad essere a rischio sono i rapporti di import-export e ciò che ne deriva.
L’Europa è il secondo produttore mondiale di acciaio dopo la Cina e le tonnellate che non verranno più accolte dal territorio americano perché divenute troppo costose, potrebbero riversarsi a prezzi stracciati sui paesi Europei danneggiandoli e sconvolgendo i tradizionali rapporti di vendita-acquisto/produttore-consumatore. In particolare, si teme il rimbalzo dei flussi provenienti proprio dalla Cina – che dice di non volere la guerra commerciale, ma di essere in grado di fronteggiarla – e dal Taiwan.
La stessa solerte e intensa campagna di Eurofer nel chiedere all’Unione risposte immediate di salvaguardia dell’acciaio è ritenuta da alcuni controproducente: a preoccupare è la possibile estensione di dazi, già attivi per alcuni beni, su altri prodotti nevralgici per l’import europeo, ad oggi non ancora tassati.
Imponendo tasse al fine di controllare e limitare l’ingresso di acciaio in esubero di altre tratte commerciali, crescerebbe il costo della materia prima che le aziende europee attualmente acquistano all’esterno, con possibili impatti sugli ordini e sul prezzo finale al consumatore.
Si aggiunga, infine, l’eventualità, già paventata da Bruxelles, di colpire con nuove imposte altri prodotti americani (Levi’s, Harley Davidson, Bourbon del Kentucky, …).
Una reazione a catena che finirebbe per modificare i rapporti commerciali internazionali ben al di fuori del settore siderurgico.
L’acciaio inox, però, è un materiale con alto valore aggiunto impiegato in economie avanzate, per questo secondo gli esperti del settore vedrà modificate con difficoltà le sue traiettorie commerciali, pur non rimanendo esente dal rincaro. Aumento dei prezzi che interesserà, inevitabilmente, tanto i prodotti meno lavorati, quanto quelli di alta qualità e finitura, compresi gli acciai rigidizzati, decorati e colorati.
Ad oggi l’Europa, dopo aver tentato la via del negoziato ed aver chiesto l’intervento del WTO, ha avviato un’indagine similare a quella americana per capire come l’economia del continente venga colpita dalle importazioni e si dice pronta a rispondere con forza all’entrata in vigore della Section 232 con dazi equivalenti a quelli a stelle e strisce. Non si faranno concessioni sotto ricatto.
In quello che appare come un assurdo gioco tra potenti che sembrano credere che a vincere sarà quello che picchierà più forte, ciò che tutti vorrebbero ottenere è un abbassamento generale dei costi di dogana e un sistema di produzione mondiale più onesto. Non sempre il fine e l’effetto coincidono.
Il 1° maggio dovrebbe essere la data in cui si chiuderanno le trattative con gli Usa (sempre che Washington non decida di posticiparla), ma ad essere attesa con grande apprensione è la risposta Europea.

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